Cosa rischia chi usa il tuo marchio? Come agire contro chi copia un logo, un naming, un payoff, uno slogan, registrati come marchi d’impresa? Ne parliamo in questo articolo
La tutela preventiva del logo o del naming
La protezione della brand image è fondamentale ed è importante agire in via preventiva per proteggersi nei confronti di soggetti che usano segni identici o simili ai propri.
Mi sono occupata più volte della registrazione del logo o naming come marchio d’impresa, anche sotto punti di vista particolari, ad esempio il teaser o lo slogan.
Se sei un’agenzia di comunicazione o un freelance creativo e ti occupi della ideazione della brand image, ti suggerisco di partire da questo articolo, dove troverai un’utile check list per il marchio d’impresa (che stai realizzando per conto del tuo cliente o anche quello che identifica la tua realtà aziendale).
La tutela preventiva è un’attività che si suddivide in varie fasi e viene gestita in sinergia.
La copia di un logo o naming di altri
In questo articolo parliamo però di cosa accade dopo che un logo o un nome o un marchio in generale sono stati copiati. Si tratta di una condotta penalmente rilevante, oltre che di una situazione che causa notevoli danni all’azienda.
Il reato di contraffazione
L’art. 473 del codice penale disciplina il reato di contraffazione, alterazione o uso di marchio, segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni
La norma, modificata nel 2009 con la legge n. 99 del 23 luglio 2009, recita «Chiunque, potendo conoscere dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, contraffà o altera marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, di prodotti industriali, ovvero chiunque, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.500 a euro 25.000. Soggiace alla pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 3.500 a euro 35.000 chiunque contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati. I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale »
Ci sono due diverse condotte:
- Il primo comma, infatti, punisce la condotta di falsificazione di marchi o segni distintivi dei prodotti industriali;
- Il secondo comma, invece, sanziona la falsificazione di brevetti, disegni o modelli industriali
La falsificazione di marchi e segni distintivi
Ci focalizziamo sul primo comma: la condotta sanzionata riguarda un segno distintivo oggetto di registrazione. Pertanto, non può considerarsi penalmente rilevante la contraffazione degli strumenti necessari alla riproduzione del segno (quali, a titolo esemplificativo, il punzone o lo stampo).
La norma parla di “marchi” e di “segni distintivi”.
La violazione di un logo registrato come marchio
Il marchio è, come oramai diffusamente noto, il segno funzionale a distinguere i prodotti e servizi su cui è apposto da ogni altro prodotto o servizio della stessa specie.
Per comprendere quali marchi sono penalmente tutelati è sufficiente dare uno sguardo alla definizione di marchi d’impresa di cui agli articoli 7 ss. del codice della proprietà industriale, il D.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30.
Sono, quindi, marchi d’impresa: parole, nomi di persona, disegni, tonalità cromatiche, forma del prodotto, i suoni ed altri segni che, valutati nel caso di specie, presentano quel carattere di inconfondibilità necessario al fine di distinguere il prodotto da altri della stessa specie.
La violazione di un segno distintivo
Un po’ più complesso, invece, riuscire a dare una vera e propria definizione di “segno distintivo”. La complessità deriva dal fatto che, il segno distintivo per eccellenza è, per l’appunto il marchio; pertanto, nella nozione di segno distintivo dovrebbe ricomprendersi l’intero genus dei segni distintivi, compresi anche i contrassegni dei prodotti industriali che non possono essere definiti “marchi”.
La questione è importante perchè la legge penale italiana è soggetta ad una serie di rigidi principi generali: il divieto di analogia prevede che sia penalmente rilevante unicamente quanto ritenuto tale dalla legge.
I marchi collettivi non sono protetti dalla copia
La dottrina prevalente ritiene, al proposito, che non siano ricompresi nella tutela di cui all’art. 473 c.p. i marchi collettivi e le denominazioni di origine e di provenienza. In questo caso, infatti, ci si trova di fronte a figure non aggredibili con la contraffazione ed alterazione.
In realtà, questo problema è stato risolto con la L. 23 luglio 2009 n. 99 che ha introdotto il nuovo art. 517 quater c.p. a tutela delle denominazioni collettive d’origine protetta. La ratio della nuova disposizione normativa è quella di tutelare la struttura produttiva nazionale della nicchia di mercato delle produzioni tipiche agricole. Il legislatore del 2009 si è spinto oltre, ridimensionando il disposto di cui all’art. 517 c.p. al fine di regolare l’indicazione collettiva “Made in Italy”.
I segni non registrati non sono tutelati dalla contraffazione
Ebbene, alla luce di quanto sopra esposto, si ricordi che l’articolo 473 c.p. è norma penale posta a tutela dei soli marchi registrati, ad esclusione quindi di tutti quei segni che, pur dotati di efficacia distintiva, non godono del diritto di esclusiva e, pertanto, non sono stati sottoposti alla procedura di registrazione che diviene, pertanto presupposto essenziale per la configurazione del reato.
Un segno registrato è ad esempio il nome a dominio.
Cosa vuol dire copiare un logo?
La condotta sanzionata dalla norma in esame è la contraffazione, l’alterazione e l’uso dei marchi falsificati. Quest’ultima è un’ipotesi residuale che comprende tutti i casi di impiego commerciale o industriale di marchi da altri falsificati, qualora non vi sia concorso nella falsificazione.
Ma quando l’imitazione viene qualificata come illecito civile e quando, invece, quale illecito penale? La risposta è semplice. La differenza sta nella natura dolosa dell’imitazione. Oggetto del dolo è la consapevolezza di tutti gli elementi costitutivi del reato e dell’immutatio veri.
La responsabilità dell’agenzia di comunicazione
La famosa legge 23 luglio 2009 n. 99 ha esteso la responsabilità amministrativa da reato degli enti ex D.lgs. 231/2001 anche al delitto di contraffazione.
Questo significa che, se il reato di contraffazione viene compiuto da un lavoratore dipendente, l’agenzia di comunicazione subisce una sanzione in relazione alla commissione del reato.
In particolare, la norma prevede una sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote e l’applicazione all’ente delle sanzioni interdittive di cui all’art. 9 comma 2 D.lgs. 231/2001 per una durata non superiore ad un anno.
Chiaramente, questo se l’agenzia non si è strutturata in modo tale che tali situazioni non accadano. Ci riferiamo all’adozione di un modello organizzativo 231 che consente di prevenire la commissione dei reati (anche di diversa natura, come ad esempio quelli informatici) e di evitare che l’agenzia sia responsabile in caso di illeciti commessi dai dipendenti.
Legal for Creativity si occupa anche di diritto penale e di responsabilità dell’azienda per reati attraverso bravi professionisti verticali su questo settore. Se vuoi approfondire questi o altri temi legati alla prevenzione dei reati puoi contattarci:
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